Il “Morazzone” a Morazzone

Il “Morazzone” a Morazzone

Cascina Tacchina

Lungo la Via Caronno Varesino si trova la cosiddetta “Cascina Tacchina”, un vecchio edificio (originariamente parte di una corte rurale bassomedievale) ritenuto essere il più plausibile luogo di nascita del pittore Pier Francesco Mazzucchelli detto “Il Morazzone”, figlio di Ermelina da Fagnano e di Cesare Mazzucchelli detto “Tachino”, appellativo derivato proprio dalla cascina in esame.

Sfortunatamente, la struttura versa in un grave stato di abbandono ormai da anni: la zona è transennata e vietata al pubblico in quanto pericolante, gran parte del tetto è crollato e anche le pareti mostrano in maniera inequivocabile i segni del tempo e la necessità di un profondo intervento di restauro.
L’areale, essendo di proprietà privata, non può essere preso in carico dall’Amministrazione Comunale né dalla Soprintendenza per i Beni Culturali dato che risulta assente qualsivoglia vincolo di carattere storico-artistico.

Si spera che in un futuro prossimo la situazione possa sbloccarsi al fine di restituire al fabbricato la dignità che merita: nel frattempo è stato quantomeno apposto davanti alla facciata un cartello con sfondo marrone (simbolo di un bene culturale di interesse) per far notare ai passanti e ai visitatori la probabile casa in cui è venuto alla luce il più famoso morazzonese della storia.



La casa “nobiliare”

Nel punto più alto del giardino appartenente alla Villa Perucconi si staglia una costruzione isolata, visibile sia da Via Santa Maria sia da Via Onofrio Belloni: la “modernità” degli esterni (alcuni dettagli architettonici -ad esempio la tettoia con i sostegni in ghisa fusi a staffa- rimandano agli inizi del Novecento) contrasta con la severità dell’ambiente interno, databile alla prima metà del Seicento e caratterizzato da un soffitto voltato, cornici a stucco e lesene classicheggianti.
In base alla ricostruzione di Silvano Colombo, questo padiglione doveva far parte di uno stabile molto più ampio che costituiva la casa dove visse e operò il Morazzone, notizia per altro confermata da fonti cronologicamente inquadrabili tra la fine del ‘700 e il 1800.
Lo studioso, attenendosi ai rilievi del Catasto eseguiti entro il 22 gennaio del 1722, individua l’impianto di un edificio ben articolato (di cui il padiglione rimasto era soltanto una porzione), censito come abitazione di un certo Claudio Mazzucchelli figlio di Innocente.
Ovviamente quel cognome non può che riconnettere subito alla famiglia del pittore e, considerando che Innocente era il nome dell’ultimo figlio del Morazzone (nato il 5 marzo del 1621), l’Innocente padre di Claudio -sulla scorta dell’usanza di commemorare con il nome dei nonni la storia della famiglia- ha buone probabilità di essere il nipote dell’ultimogenito dell’artista.
Mantenendo come punto di riferimento la planimetria settecentesca, Colombo ipotizza che la stanza del padiglione, connessa allo sviluppo dell’edificio rilevato sulla mappa, potrebbe essere stato l’ultimo ambiente dell’ala nord, posto alla fine di altri locali disposti in sequenza che davano su un cortile di fronte al quale era posizionato un altro corpo dalla forma “a L”; l’insieme così delineato ricreava perciò una pianta complessiva “a U”.
Interessante annotare poi come alcuni mappali denotino la presenza di un orto e due “prati vitati”, ossia piante di vite: in sintesi si può dedurre che la parte alta della collinetta fosse orlata da due prati con filari di viti e accogliesse un orto (da intendere come un giardino recintato), forse imbastito su schemi geometrici all’italiana e in ogni caso distinto dai prati. Si profila dunque come una destinazione privilegiata ed esclusiva di servizio alla casa, dalla quale si poteva accedere nel giardino tramite il passaggio rimasto aperto nell’impianto dell’edificio ad ali contrapposte “quasi ad U” che abbiamo descritto sopra.
Non è dato sapere quando la casa venne distrutta: plausibilmente nel corso del XIX secolo, in quanto i rilievi del Cessato Catasto Lombardo del 1856 individuano solo la porzione attuale della struttura. 
Altre conferme arrivano dalle fonti dell’epoca e se il Cantù nel 1857 registra il passaggio di proprietà del fabbricato alla famiglia Vassalli, il Bizzozero nel 1874 parla espressamente di una “sala isolata sul colmo del giardino”.
Attualmente il padiglione rientra nelle proprietà della villa Perucconi e, dal lato che dà su Via Belloni, è stato posizionato il tipico cartello segnalante la presenza di un bene storico-culturale per indicare la dimora in cui visse e operò il Morazzone quando risiedeva in paese.


La Fucina di Vulcano

All’interno della sala del padiglione (lungo la parete nord), sopra la caminiera si trovava l’affresco rappresentante la Fucina di Vulcano, realizzato in loco dal Morazzone probabilmente nel 1599.
Fino al 1892, i vari autori menzionanti l’opera la ricordano sempre nella sua posizione originaria ma un articolo della “Cronaca Prealpina”, scritto alla fine del 1896, ne comunica la scomparsa usando i seguenti termini:

La famiglia Lattuada aveva mandato qui un pittore di Bergamo il quale, mediante uno specifico processo chimico, levò il dipinto che fu poscia portato via da Morazzone

Nel 1916 risulta collocato su telaio e battuto ad un’asta, dopo la quale approda nella collezione di Villa Lattuada (omonimi dei proprietari morazzonesi) a Casatenovo. L’ultimo passaggio avviene infine nel 1929, quando l’affresco entra a far parte delle Civiche Raccolte milanesi del Castello Sforzesco, sua attuale ubicazione.

Il soggetto, di argomento profano, rimanda ad un episodio dell’Eneide di Virgilio avente come protagonista il dio Vulcano che forgia le armi per Venere.
Dietro una quinta architettonica, si staglia in primo piano la magniloquente figura di Vulcano, torreggiante ed elasticamente compresso, apice dello schema piramidale che va a comprendere anche i due putti laterali, i quali reggono tra le mani due scudi decorati da stemmi nobiliari: quello a sinistra, raffigurante il profilo di una figura con una benda sulla fronte, una stella e un’aquila, riporta alla famiglia Mazzucchelli; quello a destra, con una torre e un leone rampante, appartiene invece alla famiglia Castiglioni.
Secondo Jacopo Stoppa la resa stilistica dell’affresco risulta alquanto acerba, con i piani formali delle figure piuttosto semplificati (in particolare quelli del Cupido che affila la freccia ai piedi di Vulcano), al pari degli angeli musicanti della Cappella del Rosario nella Basilica di San Vittore a Varese, affrescata nel biennio 1598-1599.
Per questo motivo La Fucina può essere cronologicamente assegnata allo stesso lasso temporale, forse in previsione del matrimonio del pittore con Anna Castiglioni, avvenuto il 13 novembre 1599.



San Carlo di fronte al Cristo morto con angeli

Alcuni autori del passato (in primis il Bombognini nel 1790), oltre alla Fucina di Vulcano, danno notizia di una seconda opera del pittore nella sala del padiglione della sua casa morazzonese, ovvero un “quadro in grande di San Carlo che contempla il Salvatore deposto dalla Croce”.
L’originale è andato perduto, ma è stata avanzata l’ipotesi che un dipinto con lo stesso soggetto nella Quadreria dell’Arcivescovado a Milano sia una copia derivata dal prototipo morazzoniano; esiste inoltre una variante (San Carlo medita sul Cristo morto), già a Gallarate nella raccolta Verelli, che in passato era stata giudicata autografa e che ora viene invece ritenuta di dubbia attribuzione.



Sant’Ambrogio

Fino agli anni ’90 del secolo scorso reputato opera di un anonimo pittore del XVII secolo, l’affresco di Sant’Ambrogio (collocato sulla spalla di muro della vecchia chiesa seicentesca della parrocchiale di Morazzone, ora parte della sacristia) è stato “restituito” da Jacopo Stoppa a Pier Francesco Mazzucchelli.
Il margine di autografia è dato dal confronto stilistico con la Glorificazione di San Carlo nella Collegiata di Borgomanero: la posizione del santo in primo piano, il suo essere circondato da quattro angeli, il gesto della mano sollevata e la somiglianza nel vestiario ecclesiastico sono tutti indizi che orientano verso l’attribuzione dell’affresco al Morazzone, il quale affidò probabilmente alla sua bottega il compito di portarlo a termine.
Considerando anche lo stato non ottimale dell’opera, l’unico vero appiglio cronologico per la datazione è il termine post-quem del 1606, anno della visita pastorale di Federico Borromeo, i cui atti testimoniano la costruzione di una nuova chiesa in sostituzione di quella precedente, fatta demolire per ordine di San Carlo Borromeo nel 1570.