Morazzone dalla preistoria all'epoca Romana
Dalle prime tracce di presenza umana sul territorio, alla probabile colonizzazione da parte di tribù celtiche, fino alla conquista Romana.
PREISTORIA
Le prime tracce di una frequentazione umana a Morazzone risalgono alla preistoria e come unica testimonianza di un’epoca tanto remota è rimasto un frammento d’ascia, rinvenuto in località Gerbo dal signor Umberto Vedovato il 10 giugno del 1978, durante i lavori agricoli all’interno di un terreno di sua proprietà.
L’ascia, in pietra verde, di forma grosso modo triangolare, dal taglio arcuato, i margini arrotondati e il tallone sbrecciato può essere cronologicamente collocata, in base alle caratteristiche morfologiche, ad una generica fase del Neolitico (fine V millennio – inizi III millennio a.C.)
Nell’aprile del 1990, all’interno dello stesso campo, sono stati inoltre rinvenuti alcuni scarti di lavorazione della selce, ulteriore indizio della presenza dell’uomo preistorico nel territorio morazzonese.
EPOCA CELTICA
Sebbene non vi siano prove materiali in grado di corroborare tale ipotesi, un possibile indizio sull’origine celtica del paese è dato dal suo toponimo: tralasciando infatti la recente e “costruita” tradizione umanistica volta a nobilitare l’illustre discendenza dai Romani (Morasentium come sede dei Sentii), la radice “Mor” sembra proprio rimandare all’epoca dei Celti dato che compare anche su diverse monete galliche e soprattutto su un’iscrizione funeraria proveniente da Biumo Inferiore (conservata ai Musei Civici di Varese) attestante dei nomi -P. Mor e V. Mor- di indigeni ancora non romanizzati.
Sempre tenendo in considerazione la base Mor, si possono elencare vari toponimi connessi all’area insubre, comense e cenomane (a titolo di esempio Mornago, Morone, Mornasco, Morcote, Morengo) e seguendo questo ragionamento la studiosa Floriana Cantarelli ha suggerito la presenza di una tribù distaccatasi dal popolo dei Morini, responsabile dell’azione colonizzatrice all’interno di questa ampia fascia di territorio.
Luciano Golzi Saporiti, in uno studio volto ad indagare la toponomastica del Seprio, ha posto Morazzone a confronto con alcune località francesi e spagnole (Mourenx, Murasson, Morancez, Mourente) ed è giunto alla conclusione che il toponimo originale sarebbe Mor-entio-n, ovvero “il luogo della sede di Mor”, identificabile sulla scorta del termine *morisags [antico irlandese muire, il comandante, il leader o l’headman] come il capo della comunità.
EPOCA ROMANA
La favorevole posizione geografica di Morazzone (sul ciglio dell’anfiteatro morenico del lago di Varese) garantiva un’ampia visuale su tutti gli eventuali transiti da nord a sud e viceversa ed è per via di questa notevole rilevanza strategica che il paese, sin dall’epoca celtica/gallica, doveva essere un importante punto di snodo.
A sud di questa direttrice si poteva proseguire in direzione di Caronno Varesino, Albizzate (vicus dei Montunates), Besnate, Arsago Seprio e Somma Lombardo (vicus dei Votodrones), mentre i collegamenti est-ovest indirizzavano verso i centri del Verbano meridionale tramite un asse che lambiva località di origine celtica (Angera, Taino, Corgeno, San Pancrazio, Crosio, Caidate); a est, oltre i vari percorsi per i valichi alpini, era possibile inoltrarsi verso la sponda del lago di Lugano attraversando Bizzozzero, Stabio, Ligornetto e la sponda meridionale del lago di Como.
I reperti di età romana, attualmente ubicati nella chiesa parrocchiale di Sant’Ambrogio, costituiscono un prezioso nucleo epigrafico del I secolo d.C. formato da tre lapidi funerarie recanti i nomi e le qualifiche di coloro che, allo stato attuale, si configurano come i più antichi e illustri antenati di cui Morazzone abbia conoscenza.
Le lapidi dei fratelli Sentii
Rinvenuti sulla collina della Maddalena, i due blocchi di pietra erano posizionati all’interno della chiesa fino al 1581, anno in cui Pietro Antonio Crespi Castoldi, parroco di Morazzone dal 1581 al 1588, li fece spostare nell’atrio come lui stesso annotò nella sua opera Insubria:
Nel villaggio di Morazzone restano, della legione scitica, due memorie scolpite su due grandi cubi di pietra che, mentre tenevo la cura delle anime su incarico di San Carlo arcivescovo di Milano, ho fatto portare fuori dalla chiesetta di Santa Maria Maddalena e collocare nel suo atrio.
Nel 1818 i due cippi vennero trasferiti nell’allora appena edificata chiesa di Sant’Ambrogio e furono murati nella facciata, per poi essere nuovamente traslati nei transetti laterali dello stesso edificio a fine Novecento.
La prima iscrizione (CIL V 5595 A) è la seguente:
L(ucius) Sentius L(ucii) f(ilius) Ouf(entina) (tribu)/ Niger signifer/ leg(ionis) quartae Scyticae/ hic natus hic situs est
Traduzione: Lucio Senzio Nigro figlio di Lucio, della tribù Oufentina, vessillifero della quarta legione scitica, qui è nato, qui è sepolto.
La seconda (CIL V 5595 B) riporta:
M(arcus) Sentius L(ucii) f(ilius) Ouf(entina tribu)/ Macer veteran(us)/ leg(ionis) quartae Scyticae/ sibi et fratri suo./ V(ivus) F(ecit).
Traduzione: Marco Senzio Macro, figlio di Lucio della tribù Oufentina, veterano della quarta legione scitica, fece fare da vivo per sé e per il fratello.
Le lastre, in granito di Baveno, recano le iscrizioni all’interno di uno specchio ribassato e corniciato a gola rovescia e originariamente dovevano far parte del medesimo recinto funerario: grazie alla frase hic natus hic situs est riferita a Lucius, è possibile determinare l’autoctonia dei due fratelli e se non vi sono elementi sufficienti a qualificare Morazzone come un vicus, possiamo almeno dedurre che essi risiedevano e possedevano delle terre in questa zona.
In base al testo epigrafico si può asserire che Marcus, di origine cisalpina (nella parte occidentale dell’ager Mediolanensis), fu arruolato nella legio IV scythica, svolse il servizio militare in Moesia sul limes danubiano (fino al 56 d.C. il reclutamento di questa legione avveniva, a parte qualche eccezione, solo dalla penisola italica; dopo quella data ci fu il trasferimento in Syria e le reclute vennero scelte dalla province orientali) e, una volta ottenuto il congedo, tornò in patria dove fece preparare il proprio monumento funebre e quello del fratello.
Di Marcus è inoltre nota anche una seconda epigrafe, di carattere sacrale e attualmente ubicata nell’Antiquarium di Castelseprio: in essa il veterano ringrazia il dio Marte per aver potuto concludere con successo il servizio militare ed aver avuto la possibilità di rientrare a casa.
La tipologia dei manufatti lapidei implica dunque che i Sentii dovevano essere delle figure appartenenti ad un ceto socio-economico perlomeno di media importanza e se l’incarico di vessillifero di Lucius non era che una gratificazione tutto sommato modesta nei ranghi dell’esercito, lo status di veterano sfoggiato da Marcus (oltre ad un diploma su un dittico di bronzo gli veniva garantita una discreta somma con cui poter comprare un terreno fra i dieci e i venti iugeri) era prodromico di una certa ascesa economica indispensabile per tentare di affermarsi a livello locale puntando alle magistrature del vicus di appartenenza o della vicina Mediolanum.
La lapide di Donnia Pupa
Oltre alle lapidi dei Sentii si è conservata una terza iscrizione funeraria, in precedenza inserita nel paramento murario della chiesa della Maddalena come pietra angolare e poi, in seguito al crollo della struttura, spostata all’interno della parrocchiale di Sant’Ambrogio.
L’epigrafe, come le altre già decifrata dal Momsen, riporta:
V(ivus) F(ecit). Dis manibus/ memoriam/ Donniae/ Donnedonis f(iliae)/ Pupae M(arcus)/ Campilius M(arci)/ Campili Fusci/ seviri senioris [l(ibertus)]/ Daphnos mar(itus) [p(osuit)] sibi et co[(niugi)]
Traduzione: ancora vivente fece fare il sepolcro. Agli dei Mani. Marco Campilio Dafno liberto di Marco Campilio Fusco seviro senior in memoria di Donnia Pupa figlia di Donnedone. Il marito pose per sé e per la moglie.
Donnia e Donnedon sono forme latinizzate di nomi gallici. Il liberto Daphnos tradisce un’evidente origine greca ed ha assunto il nome del padrone Marcus Campilius Fuscus il cui nomen -Campilius- è sì latino ma potrebbe anche essere la latinizzazione di una forma gallica quale Campilion o Campilus.
Daphnos aveva dunque raggiunto un livello economico di tutto rispetto visto che, oltre ad omaggiare il suo patrono (il sevir senior era prevalentemente un addetto all’organizzazione dei giochi e degli spettacoli in ambito municipale), l’iscrizione lascia trasparire un’indiretta affermazione pubblica di sé e di sua moglie.
Floriana Cantarelli ha ipotizzato, sulla scorta di questa epigrafe, l’esistenza di una necropoli o di un recinto funerario lungo la via da ovest (di origine gallica): essendo in presenza anche di un altro asse gallico (Morazzone – Carnago), può darsi che presso quest’incrocio si trovassero le terre di Marcus Campilius Fuscus amministrate da Daphnos oppure quelle che Donnia Pupa aveva portato in dote, le quali sarebbero poi divenute proprietà del marito al sopraggiungere della morte di suo padre Donnedon.
La lapide dei veterani
Pietro Antonio Crespi Castoldi, sempre all’interno della sua opera Insubria, menziona una quarta epigrafe di cui purtroppo si sono perse le tracce.
Secondo questa testimonianza, la lapide si trovava su una parete della chiesa di Santa Maria Maddalena e il testo recitava:
Veterani leg(ionis)/ Iovi v(otum)/ s(olverunt) l(ibentes) m(erito)
Traduzione: I veterani della legione a Giove volentieri sciolgono il voto per il beneficio